7 agosto 2016, Fanes, camminare nel mito

E fra la folla, come è "naturale" quando si va in Dolomiti d'estate, in particolare nei gruppi più famosi e accessibili. Siamo arrivati a San Vigilio di Marebbe (Plan di Mareo in Ladino) il sabato pomeriggio, con una certa calma considerato che l'alloggio sarebbe stato presso il campeggio locale nella nostra comoda (e fatta male) tenda. L'obiettivo una passeggiata nella zona di Fanes, ovvero quella grande area che si trova alle spalle del Sas dla Crusc e si estende verso Sud Est fino alle cime di Fanis (o Fanes anche loro a seconda di chi lo dice).

Per me il motivo della visita è triplice: avevo voglia di fare una passeggiata in un luogo ameno, innanzitutto. Fanes è un luogo mitico, letteralmente, dato che è l'area in cui vengono ambientati un gran numero di racconti della tradizione orale ladina, raccolti da Karl Felix Wolf nella così detta "Saga dei Fanes". Infine cercavo un pretesto (inutile) per portare Ughetta a San Vigilio, dove i suoi nonni passavano la villeggiatura estiva in montagna.

Al campeggio ci hanno forniti di abbonamento per i mezzi pubblici, quindi abbiamo potuto percorrere la Val dei Tamersc usando l'autobus, invece di entrare con la nostra auto e raggiungere il rifugio al Pederù (1548 slm) aggiungendo rumore e gas di scarico. Incentivare l'uso dell'autobus è un'ottima idea e funziona, tanto che il mezzo era quasi pieno e al Pederù di auto ce n'erano veramente poche. Qui purtroppo c'è il solito fuoristrada che fa servizio navetta per qualche altra destinazione, nel caso specifico ci è parso che andasse verso la Fedara Vedla e poi verso Sennes, lungo una strada incredibilmente ripida che a stretti tornante risale una specie di canalone.

Caratteristica delle Dolomiti è quella di avere valli incise, delimitate da pareti alte da 300 a 500 metri, sopra cui si estendono degli altipiani. Da questi si alzano le cime che tutti conoscono. Noi abbandoniamo subito la strada sterrata che conduce verso Fanes approfittando, come tutti i compagni di autobus, della comoda mulattiera che risale la valle verso Sud. La strada non è mai lontana, ma la mulattiera, molto larga e comoda, è decisamente più adatta a degli escursionisti.

Certo, si cammina in colonna come un battaglione di alpini. Chi va piano, chi corre, chi si ferma, chi accelera, ma per un bel pezzo si sale in colonna, in particolare nel tratto fra Pederù e la prima soglia, ai piedi della quale sgorga d'improvviso il torrente. Guardando da lontano sembra che sta soglia sia la classica morena frontale, e ti pare ovvio che l'acqua infiltratasi a monte in qualche modo esca al piede. Avvicinandosi però mi rendo conto che non si tratta di una morena: si vedono strati emergere sotto una debole copertura di detrito.
È una soglia di roccia, dal cui piede esce un bel torrente, con una portata che a occhio dovrebbe essere superiore a 200 litri al secondo. Sorgente che esce da roccia, è roba da speleo. Ma non scendiamo a guardare. Ughetta è schizzata già via, col suo passo, dopo avere ripetuto più volte che sicuramente sarebbe stata lenta perché ... mille ottimi motivi che non hanno trovato verifica.

Ssalgo lentamente, col mio solito passo cadenzato. Se accelerassi scoppierei, se rallentassi scoppierei. In testa alla soglia (1800 slm) il paesaggio diventa molto più bello, la valle si apre fra il monte de la Furcia dai Fers e il Col Becchei Dessora.
Camminando fra sfasciumi si piega verso Ovest, dirigendosi verso i pascoli, ancora invisibili, mentre dalle creste tutto attorno scendono immani ghiaioni dai colori che vanno dal bianco al rosso. Dopo un po' si arriva alla spianata che ospita il Lé Piciodel (1819 slm), o meglio quello che ne resta, dato che il trasporto dei detriti sembra a buon punto con l'azione di riempimento.


Si sale marciando in colonna

Qui siamo ormai ben distaccati, vedo lo zaino arancione di Ughetta come un puntino che schizza via lungo la piana dopo avere staccato tutto il gruppone. Anche io sono quasi solo, dato che sono stato staccato dal gruppone, che ora è sparpagliato fra mughi e massi.
Alla fine la strada sterrata tocca prenderla di nuovo e qui Ughetta mi ha aspettato, con un distacco che questa volta sembra essere attorno al quarto d'ora. Un miglioramento rispetto alle solite mezz'ore che passa aspettando che io compaia in fondo all'ultima volta del sentiero.

Qui vediamo arrivare alcuni atleti in mountain bike, fra cui spiccano un paio di ragazzi e una ragazza che salgono a una velocità imbarazzante, umiliando tutti i ciclisti in tenuta tecnica con bici stratosferiche. Solo che io sono rimasto un po' indietro con le mode da cittadini in vacanza e non ho notato subito un dettaglio delle bici di questi scalatori provetti: un grosso gruppo pedale che sembra più quello del vecchio Ciao che quello di una mountain bike. E casca l'asino: pedalata assistita. I tipi tecnici stanno faticando perché salgono con le loro gambe, questi altri hanno il motorino elettrico che spinge per loro. Poi torneranno a casa e diranno di avere fatto il giro di Fanes in mountain bike, bullandosi con gli amici. Certo, è come andare in cima alla Tofana de Meso, con la funivia.

La sterrata ci porta rapidamente alla Utia de Pices Fanes (2007 slm) e quindi al bivio di quota 2022. A sinistra si va alla Ucia de Fanes, a destra a la Ucia Lavarela. Optiamo per la seconda, dato che la guida che abbiamo consultato dice che a Lavarela c'è il Parlamento delle Marmotte. Si tratta di un simpatico anfiteatro con emersione di teste di strati bianchi quasi orizzontali, tanto da sembrare un teatro greco antico, o l'emiciclo di un parlamento. Per osservarlo meglio ci spostiamo oltre la Ucia de Lavarela (2042 slm), aggirando la zona paludosa generata dal Riu d'al Plan.


Il Parlamento delle Marmotte e il Riu dal Plan

Io prendo fischi per fiaschi e mi convinco che quella bella zona di meandri e stagni che c'è in molte foto sia proprio questa, ma giustifico la diversità con una improbabile "magra estiva", che oggettivamente non c'è. Il Parlamento delle Marmotte è carino, ma ovviamente siamo nel pieno del divertimentificio dolomitico. La Ucia Lavarela è una specie di albergo ristorante pieno di gente e confusione, mentre ciclisti veri e falsi ci ronzano attorno. Le vacche guardano indifferenti il brulicare di umani. Le marmotte non ci sono, non credo per disaffezione verso la democrazia, ma piuttosto perché ci sono veramente troppi umani per i gusti di chiunque. Però bello, proprio bello il paesaggio.

Sono stanco e ho mal di schiena. Vecio rochel che non sono altro, mentre Ughetta zampetta allegramente senza nessun problema, come volevasi dimostrare. Beh, andiamo verso l'altra malga di Fanes. Tagliamo per i prati e raggiungiamo la riva del bel Lé Vert (2043 slm) quindi tagliamo per traccia fino alla sterrata che dalla Ucia de Fanes porta verso il Ju de Limo (passo di Limo, 2174 slm), sempre sorpassati da ciclisti veri e fasulli. Grande rispetto e ammirazione per una ragazza che con bici vera passa tirando su come una furia, sfilando davanti a due mollicci turisti con bici motorizzata che si impiantano sul ghiaino e devono scendere di sella.

Al Ju de Limo sono indeciso. Stanco non tanto, ma fra schiena, caviglia, ginocchia e altre amenità da vecio rochel non so se ho voglia di farmi la discesa e poi risalire per il ritorno. Andiamo avanti fino al Lé de Limo (2159 slm), che così a occhio dovrebbe dare il nome al passo e non vice versa, non riesco a non pensare che Limo assomigli molto a "limnos".


Il Lé de Limo

A sto punto la quota superiore a 2000 metri mi sostiene moralmente e decido di procedere fino alla Ucia de Gran Fanes (2100 slm), dove ci fermiamo nel prato presso la baita, per mangiarci il nostro consueto pasto a base di "panughi", che dall'originale con spianata sarda e salumi è diventato qualcosa con un derivato del grano e del maiale accoppiati.
Il bellissimo posto con acqua, meandri, pozze e stagni si trova esattamente a un paio di centinaia di metri in piano davanti a noi, ma io non lo vedo. Guardo in lontananza il bianco ghiaccio della Marmolada attraverso l'intaglio del Ju de l'Ega, ma non vado a guardare le sorgenti del Rù de Fanes. E sono proprio scemo.


Laggiù il ghiaccio della Marmolada

Il ritorno è sempre un po' noioso, ma in questo caso ce la prendiamo comoda per scattare un po' di fotografie. Innanzitutto ai bei giochi generati dal sollevamento alpino, che ha stritolato e spiegazzato gli strati di dolomia in modo impressionante. Poi al paesaggio della conca che si estende a Sud Est della cresta che prende il nome di Sas dla Crusc in alta Badia. Dato che non mi sono documentato a sufficienza, e non ho con me una mappa, non mi rendo conto che quel bizzarro cocuzzolo roccioso che interrompe la perfezione della conca glaciale si chiama Ciastel de Fanes. A dire il vero il castello dei Fanes doveva essere su les Conturines, ovvero a Sud, ma le storie tramandate oralmente sono imprecise, a volte.


Con calma si fanno foto al rientro

Torniamo giù con calma, questa volta senza distacchi, perché io sono più veloce di Ughetta in discesa anche quando zoppico un po'. E poi non c'è fretta, siamo perfettamente in tempo per l'autobus che ci riporterà al Plan e abbiamo prenotato il ristorante Fana Ladina per le otto e mezza, tanto per stare tranquilli coi tempi.
Alla fine all'autobus ci arriviamo presto e anche a San Vigilio, che giriamo in largo e in lungo in attesa che giunga l'ora di andare al ristorante ad assaggiare qualche piatto tradizionale del posto. Con comodo, che il rientro è previsto per lunedì mattina, dopo avere fatto la spesa per lo speck, un po' di kamiwurtz e del formaggio di capra.

Tutto molto bello, suggerisco però di andarci a settembre, o beccare qualche bella giornata in ottobre, perché la folla agostana un po' rovina la poesia di questi luoghi magici.

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