17 Giugno 2006, Monte Bivera (Alpi Carniche)

Gran parte di coloro a cui racconto delle mie gite in montagna mi chiedono perché goda tanto a soffrire. La risposta probabilmente potrebbe fornirla qualche psichiatra, fatto sta che un'ascensione, indipendentemente dal grado di sofferenza che mi costa, aiuta a superare le difficoltà che si incontrano nella vita "normale", giù in pianura, dove le tue forze non sono sufficienti ad ottenere risultati.
Era un sacco di tempo che guardavo con interesse il Bivera. Lo si vede da qualunque altra cima delle Carniche ed anche dalle Dolomiti. Ragionando, da lassù si deve vedere un bel panorama.
Le previsioni annunciavano temporali nel pomeriggio. Per non rischiare decidiamo saggiamente (!) di partire abbastanza presto. Alle 0700 sono a recuperare il Pulpi e poi su da Alb. Alle 0730 siamo raggiunti anche dal Gaucho e si va.
Decidiamo di salire da Casera Razzo, cosa che ci garantisce un dislivello modesto, anche se ci sarà da fare strada in traverso. Il Pulpi odia i traversoni bucolici sui pascoli, ma tanto non gli ho detto niente. Alb odia le strade forestali, ma tanto non ho detto niente nemmeno a lui. Al Gaucho non gli importa di dove si va, basta andare, quindi non ho detto niente nemmeno a lui. Sono le uniche persone che si fidano di me ... per ora.

Risalendo la Val Pesarina incontriamo gli incredibili segni di una grandinata clamorosa: ha maciullato il fogliame lungo la parte alta della valle e la strada é coperta di frammenti verdi. Quando raggiungiamo Casera Razzo (1739) gli accumuli di grandine fanno apparire i pascoli in abito autunnale, sembra che abbia nevicato. Il sole picchia forte sul pianoro di Razzo mentre sistemiamo i sacchi. Per precauzione mi spalmo le gambe (candide) di crema solare. Quindi iniziamo il lungo traverso per le piste forestali.

Fra saliscendi in mezzo a pascoli e macchie di larici perdiamo progessivamente quota, fin poco oltre alla malga di Mediana. La quota minima che tocchiamo é 1685, a metà strada fra Mediana e Cjansaveit (1698). All'inizio del cjampit di Cjansaveit la grandine sembra avere esagerato, e' quasi tutto bianco!
Superata questa malga si imbocca finalmente un sentiero vero e proprio, con grande sollievo di tutti, che traversa in leggera salita verso Est, fra larici e macchie di rodereto. A 1780 il sentiero piega di 90° e punta decisamente a Sud, per la massima pendenza, seguendo una dorsale che si stacca a settentrione dal corpo principale del Bivera. Qui superiamo alcune persone e poi raggiungiamo due ragazzi molto giovani. Lei zoppica vistosamente, con una caviglia storta, e discutono in modo sconclusionato sul da farsi. Proseguiamo e raggiungiamo il margine inferiore del primo di una serie di catini che formano l'ampio vallone che discende da forcella Bivera. Qui incontriamo il resto della truppa dei ragazzi, di cui i primi due erano le retrovie in ritirata. Sono un gruppo misto di giovani di una parrocchia di Latisana. Con la solita spocchia del vecchio ravanatore li studio un po' e concludo che solo un demente puo' mandare dei ragazzini inesperti su per i nevai che ci aspettano più in alto. Alb esprime le sue perplessità in modo meno elegante. Ma tutto resta fra noi. Li vediamo partire mentre noi ci rifocilliamo con acqua e cioccolato, a dire il vero un po' provati dal fatto che tutti abbiamo trascorso una notte poco riposante ...

Quando ripartiamo guadagnamo abbastanza rapidamente il margine dei nevai, anche se il ritmo é indegno. Le gambe sembrano di piombo. Le mie poi sono piombo stanco. Raggiungiamo i ragazzi che ai nevai si sono un po' impiantati. Il loro grande gruppo si é sgranato. Qualcuno rinuncia (fra cui l'adulto che crediamo sia l'accompagnatore), ma la maggioranza procede con grinta di poco stemperata dalle evidenti difficoltà nell'affrontare un ambiente non consueto. Va detto che nel gruppo si distinguono per grinta le ragazze, che senza troppi complimenti verso i loro rambistici coetanei studiano il nostro modo di scalinare sulla neve per adottare la tecnica. Qualcuno ventila anche l'ipotesi di farsi portare giù da Alb e me. Evidentemente sti due "vecchi" ispirano fiducia. Una piccola pattuglia passa sulle rocce a sinistra, scaricando qualche pietra mentre (era ovvio) sotto ci siamo noi. Con grande classe guardiamo filare via i sassetti e tratteniamo persino la consueta schiera di colorite bestemmie. Incredibilmente superiamo la colonna di giovani scattanti, per giungere a forcella Bivera (2330) ad ammirare fra le nubi il paesaggio da fiaba del Pian delle Streghe, sul versante meridionale.

I ragazzi ci raggiungono rapidamente alla forcella, mentre il Pulpi ed il Gaucho tirano dritti verso la cima, immersa nelle nubi. Lo sguardo Assistiamo ad una rapida discussione fra i ragazzi che vorrebbero raggiungere la vetta e quelli che (a mio avviso saggiamente) vogliono scendere prima che si metta male. Alb ed io partiamo verso la cima.
A questo punto io sono veramente fuori da ogni grado di umanità. Le gambe non girano per niente ed il fiato manca. Mi sembra di dovere schiattare ad ogni passo. Le nubi si addensano sempre più e sento letteralmente puzza di temporale. Alb scompare in lontananza, io mi fermo. Il terreno é facile, anche se non esattamente da correre. Mi impongo di fare almeno venti passi di seguito prima di un'ulteriore pausa. E' patetico. Queste cose si fanno sopra gli 8000, non sul Bivera! Fatto sta che voglio arrivare sulla sommità del monte e non ho molte alternative. Incappo in un paio di cavità, apparentemente naturali, ad andamento verticale, impostate su frattura, ma mi impongo di dimenticarle: vengano altri a esplorare grotte quassù!
Ad un intaglio che precede la cima sento il primo tuono. E' lontano, ma il temporale arriverà di sicuro. Incrocio una coppia che sta scendendo e mi consigliano di muovermi a fare l'ultimo tratto di corsa. Ci provo.

Arrivo finalmente alla croce di vetta (2474), dove trovo appollaiati i miei tre compagni. Il panorama non esiste: la vista spazia fino ai nevai del Pian delle Streghe, ma nient'altro é visibile. Peccato, ho voluto salire quassù più per il panorama che per la smania di mettere piede su una cima. Ad ogni modo i boati di avvicinano e non c'é tempo da perdere.
La discesa si rivela peggio della salita; il ginocchio sinistro, ancora dolorante dopo un anno, minaccia di cedere ad ogni passo. I muscoli sono stanchi e non reggono, i legamenti sfilacciati non possono fare molto. E' una sensazione che non mi piace, più che altro mi nasce la paranoia che non decidano di saltare proprio lì. Se i legamenti partono con un temporale in arrivo sono guai.
Guadagno la forcella piuttosto mestamente, quindi i nevai aiutano a perdere quota rapidamente, con la classica "sciata" primaverile. Poco sotto lo spartiacque incrociamo un ragazzo che sale solo, veloce, per i nevai. E' dalla parte opposta del canalone e va su deciso. Secondo me dovrebbe fermarsi alla forcella e poi darsela a gambe, se non é matto. Arriviamo al limite del primo catino innevato quando inizia a piovere. Indossiamo le giacche e proseguiamo senza perdere tempo, mentre un paio di tuoni vicini fanno vibrare l'aria. La pioggia muta rapidamente in grandine. Alb ci ha portati su con l'auto nuova! Credo che il turpiloquio abbia una funzione antigrandine, perché alla fine l'auto risulterà illesa.

Quando arriviamo a Cjansaveit i ragazzi di Latisana sono già ripartiti. Uno di loro é rimasto indietro e ci chiede notizie del solitario che abbiamo incrociato sotto la forcella. Gli riferiamo ciò che sappiamo. Sembra preoccupato. Guardo la montagna e mi preoccupo anch'io: se ha tenuto quel ritmo e puntava alla cima, si é trovato fra fulmini e grandine proprio sulla cresta occidentale, allo scoperto.
Dopo una breve sosta ripartiamo, sotto un pallido sole che promette di asciugarci. Il traverso fino a Razzo si rivela più noioso rispetto all'andata, ma sopratutto mi sento proprio da buttare. Accelero il passo, mentre le nubi calano e ci avvolgono. Arrivare alla malga di Razzo é veramente la conclusione di una sofferenza. Riprende a piovere e tocca cambiarsi cercando un po' di riparo sotto la linda del tetto del cason della malga. Montiamo di corsa in auto e ce ne andiamo verso Sauris, nella speranza di bere una buona Zahre Bier. Restiamo delusi, i locali sono chiusi, sebbene sia sabato pomeriggio. La pioggia battente ci accompagna fino al margine della pianura. Per me l'unico desiderio é il letto.

Ad ogni modo, tutto é andato bene. Ho raggiunto la cima, il ginocchio ha retto ed il telegiornale non ha parlato di nessun giovane disperso sulla montagna. Come al solito mi sono riproposto di non fare bisboccia la sera prima di andare in montagna, ma so che non metterò in pratica i miei buoni propositi. A parte tutto, la gita é stata utile a scaricare. Come sempre.


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