12 novembre 2005, Monte Tersadia (Alpi Carniche)

L'autunno sulle Alpi Carniche é probabilmente la stagione migliore. Le nevicate iniziano a cadere tardi, non ci sono temporali, le piogge sono prevedibili, non fa ancora molto freddo ed i colori sono stupendi.
Le gite che faccio con mio padre sono ormai rare, non perché lui non riesca a camminare in montagna, ma semplicemente per una divergenza in fatto di interessi. Lui gira per monti col pretesto di raccogliere ancora informazioni sugli alpeggi e le abitazioni temporanee, prima che il tempo cancelli definitivamente ogni traccia della cultura carnica. Ormai é quasi un lavoro archeologico, che obbliga ad attraversare monti franosi, fra rovi e macchie che hanno occupato i pascoli e le coltivazioni di un tempo.
Partiamo sempre presto, questa é una delle cose su cui andiamo certamente daccordo. Anche perché le ore di luce sono limitate quando si avvicina il solstizio. La consueta sosta per il caffé avviene nel bar che affiaccia sulla piazza di Paluzza, in una splendida casa con una corte interna abbellita da archi in pietra. Altri ricordi di una Carnia ricca. Poi saliamo lungo la valle laterale del Pontaiba, superando Treppo, su per Ligosullo, verso la forca di Liùs (1000).


I faggi contorti del bosco oltre forca
Orteglas (clic per allargare)
Il percorso che abbiamo stabilito di seguire si snoda lungo il versante settentionale del Tersadia e mira a raggiungere un alpeggio poco distante dalla cima. Lasciamo l'auto ad un tornante (1032) della strada che porta a Paularo. Il sentiero é bello, anzi é una mulattiera, che attraversa un bel bosco misto di faggio e abete. Ogni tanto qualche orribile impianto di abete rosso rovina un po' il paesaggio vegetale, ma nel complesso l'ambiente é ombroso, fresco (freddino anzi) ed affascinante.
Il Tersadia non é una montagna qualunque, é un mont das strìis, montagna delle streghe. Nella tradizione popolare carnice le streghe si radunavano a convegno sulla sommità ampia e dolce del Tersadia, per svolgere rituali magici. E' un'area carica di magia e mito, sul versante meridionale della dorsale Tersadia - Cucco si trova l'antico villaggio dei pagans(1) di Cjaserualis e sotto le frane giace il tempio fortezza del bec d'aur, il dio camoscio dei carnici antichi.

Si sale con calma, fra gli alberi. Superato il bivio per casera Tersadia alla forca Orteglas (1400) si attraversa sopra un canalone di rovine, per salire verso la parte sommitale della montagna. Affacciandosi oltre la cresta della Valuta lo sguardo si posa su un paesaggio tormentato, angosciante ma nello stesso tempo affascinante: i calanchi che precipitano verso la valle di Paularo. L'acqua ha intaccato profondamente la montagna, la sua roccia tenera é stata scavata e frantumata, creando un mondo in perenne movimento dove anche l'erba fatica a trovare un po' di pace per crescere durante una sola stagione.

Abbandonando la tormentata regione delle arenarie e dei gessi raggiungiamo i dolci pendii che preludono alla cima. Qui la roccia é un calcare fratturato ma solido, dove l'acqua ha sfruttato ogni fessura per insinuarsi e scavare nella profondità della montagna percorsi ancora sconosciuti. Centinaia di piccole voragini occhieggiano fra i mughi, attirando l'attenzione di due speleologi come noi.
Raggiungiamo la dorsale (1800) che digrada ad W della sommità, dove la mulattiera scavalca il monte per scendere verso il Canal d'Incarojo. Della casera Tersadia alta non si vede traccia. Dovrebbe trovarsi su un ripiano immediatamente a settentrione della cima, ma evidentemente degli edifici dell'alpeggio non restano che le fondamenta. Per andare sulla vetta ci sarebbero ancora 159 metri, ma la voglia manca a tutti due. In fondo ci siamo già stati, io in un inverno di una decina d'anni fa, quando il Tersadia scintillava di ghiaccio a 10°C sotto zero. Lo sguardo non riesce a spingersi verso la pianura, a causa della foschia che monta dal basso delle valli, ma si riconoscono nitide molte vette fra le Giulie e le Dolomiti. Mangiamo qualcosa e torniamo sui nostri passi, per andare a vedere la casera Tersadia inferiore (1372).


Sguardo da casera Tersadia verso il
Coglians (clic per allargare)
Tersadia bassa era una mont di tutto rispetto, con un grande cjason (2), due lobies (3) ed uno stalon centrale. A valle degli edifici destinati alle stalle un muretto di contenimento creava una sorta di bacino, attraverso cui il letame ed il liquame venivano raccolti e distribuiti sul sottostante cjampit. Oggi Le strutture sono in gran parte crollate, o prossime a cedere, ed il cjampit é invaso dai lamponi ma esaminando il sito si capisce ancora come doveva funzionare questa stazione di alpeggio.
La vista verso la cresta carnica principale é a dir poco incantevole, con l'ornamento di alcuni larici infuocati nella loro veste autunnale. Non sono in grado di scattare una fotografia che ritragga tutto questo in modo opportuno, conserverò l'immagine nella memoria e guarderò delle foto impallidite.

La discesa verso l'auto, come tutte le discese, é noiosa. Qualcosa di interessante si trova sempre, però. E' un vecchio termine veneziano del bosc bandît, che mio padre ricordava di avere visto anni fa. Una lastra di arenaria con scolpita una croce a braccia eguali, oggi ripassata con vernice rossa, faceva parte della delimitazione del bosco che la Repubblica di Venezia sottraeva al controllo delle comunità locali, bandendolo per l'appunto, in modo da usufruire in modo esclusivo del legname che veniva prodotto in esso. La Serenissima aveva cura nella scelta dei boschi migliori, ma oggi credo di potere dire che é rimasto poco di quella sapienza nella gestione del patrimonio forestale. I boschi carnici sono per lo più mal tenuti e poco sfruttati, lasciando campo libero alla concorrenza da parte della produzione forestale austriaca e slovena. Molti dei boschi attuali sono l'evoluzione di cedui, o di prati e pascoli abbandonati. Si percepisce in questi ambienti la sensazione che ci sia qualcosa di "fuori posto". La natura impiegherà molto tempo per ricostruire una foresta matura, sempre ammesso che l'uomo lo consenta. Il mondo cambia continuamente, come lo faceva in passato lo fa oggi, e l'uomo continua a non accettarlo.

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note

(1) pagans: pl. di pagan, letteralmente "pagano", figura mitologica della tradizione carnica. I pagans sono uomini non convertiti al cristianesimo che vivono ancora oggi nascosti fra boschi e caverne dei monti del Friuli, con un sistema di vita che risale all'epoca precedente alla colonizzazione romana.torna al testo
(1) NOME: TESTOtorna al testo