7 luglio 2007, Monte Brentoni (Dolomiti Orientali)

Scartato non ricordo quante volte per la stupida idea che il dislivello fosse enorme, infine mi sono lasciato convincere a salire il Brentoni. Alb ha usato la frase magica "sono solo 700 metri di dislivello". Per un disgraziato fuori allenamento, sovrappeso e lagnoso come me é musica: una montagna accessibile.
La parola d'ordine di questa estate é alzarsi presto! Imperativo categorico, dato che al pomeriggio i temporali sono caraibici e frequenti. Alle ore 07:00 sono sotto casa di Alb, convinto che sia troppo tardi per partire. Paranoia da servizio meteo, alle ore 12:00 esatte inizieranno le precipitazioni.
Fatto sta che prima delle 8:45 non siamo alla sella Ciampigoto fra le bucoliche balze che da Casera Razzo (vedi gita sul Bivera) portano alla papale Lorenzago. Per tutto il percorso Alb é preda della paranoia da iperaffollamento. Ogni auto che ci precede é fatta oggetto di insulti e bestemmie, presupponendo che tutta quella gente vada proprio sul Brentoni. La guida di Alb, del Gabershcik, dice che si tratta di un'escursione facile con un tratto finale di I-, che viene dato al limite I "per l'impegno". Insomma, dislivello limitato, difficoltà irrisorie, il miele delle folle proletario-escursionistiche.
All'imbocco della forestale che porta verso la sella Losco c'é solo un'auto. Due degli occupanti partono muniti di caschetti e cordame. Gli altri se ne vanno salutando. Dopo 5 minuti siamo soli. La folla? Arriverà più tardi magari.

Mentre aggiriamo il colle denominato Monte Losco, ecco comparire alcune persone. In atteggiamento di studio prendono appunti, apparentemente sulla vegetazione. Secondo me stanno facendo rilievi. Nostalgia dei bei tempi! Non é la folla.
La folla non si fa vedere mentre risaliamo il pendio di mughi e larici verso la base del costone S del Brentoni. La pace é tale che siamo solo noi due a distubare quella che, al volo, mi sembra una coturnice. Infine giungiamo alle prime roccette. Riponiamo i bastoncini nello zaino e ci diamo da fare.
La teoria dice che dobbiamo risalire per zolle erbose fino alla base di un canale che porta alla prima forcella. Canale in parte roccioso. La traccia é abbastanza chiara, ma non é per nulla segnata come si aspettava Alb. Il canale poi é stato ampiamente sconvolto da spostamenti di detrito e si sale meglio per le roccette che per i detriti. La roccia, bisogna dirlo, é da sogno. Quasi si spera che diventi ripida, gli appoggi e le prese sono abbondanti, ottimi, solidi, tutto ruvido ma arrotondato. Mi sembra la dolomia dalle parti del Nuvolau.


Mentre ci avviciniamo alla forcella di quota teorica 2380 (l'altimetro non é daccordo) alcunne nubi iniziano a salire dalla Carnia, mentre verso il Cadore rimane tutto pulito. La vista a tratti é splendida. L'Antelao guarda dall'altra parte della valle del Piave, mostrando il suo caparbio ghiacciaio orientale. La grande seduta del Pelmo si infila dietro, ma lascia fare capolino ad una sommità che riconosco come quella di Rozes. Alla sella arrivo un po' stanco, anzi molto stanco. Le gambe girano, ma lo fanno per puro amore, apparentemente un miracolo di contrazioni muscolari in assenza di ATP. Ogni tanto provo ad accelerare per verificare se ho abbastanza carburante da spendere per le emergenze. Stranamente il miracolo si ripete, ballano, ma scattano a comando!
Alla sella sono perplesso, per il tempo, e vedo negli occhi di Alb la paura che me la dia a gambe. Lo sa che ho il terrore dei temporali. Lo sguardo verso Nord mi rassicura. Anche lì tutto pulito. Sembra che ci sia una corrente che sale da Santo Stefano e tiene pulita la montagna, mentre in Carnia si addensano nuvoloni grigi.
Infine eccolo lì, il così detto tiro chiave della così detta via. Un diedrone inclinato ed aperto di roccia solidissima. Un anellone alla partenza, poi nulla. La fotocopia della guida dice di tenersi sul fondo del diedro e salire per i passaggi più facili, I grado.
Dopo dieci metri iniziamo a ritenere che ci sia qualcosa di sbagliato. Questo non é I grado. Niente di complicato, ma stando alle nostre esperienze ci sono svariati passaggi di II. Diciamo che in tutto il diedro ci sono almeno quattro brevi tratti di II, probabilmente evitabili da gente meno scema di noi.


Si esce su una specie di canale superficiale, che non é altro se non la prosecuzione del diedrone, con un po' di detriti. Per noi tutto é miele. Si arriva a collegarsi con la cresta S del monte rapidamente. Uno sguardo di là, verso la cima centrale, é bloccato dalle nubi. In vetta si é proprio in un lampo, forse troppo presto per quella meraviglia di roccette solide. Croce di dimensioni rispettose, pila di pietre tradizionale, un paio di scritte di idioti che non sanno fare di meglio la domenica. Panorama stupendo. Si apre la vista dai Tauri alle Dolomiti passando per le vette aurine. Sfilano la Sextener Rotwand, il massiccio fianco del Popera, la parte più possente della Croda dei Tone (o Zwolferkofel), le Tre Cime in fondo alla valle di Auronzo, e poi le Marmarole, un assaggio di Sorapisc, la Croda Rossa di Anpezo, mezzo celato da nubi il Cristallo.
Ci godiamo brevemente il panorama e, dopo avere buttato giù qualche caloria, ripremdiamo la strada per la valle. Poco dopo mezzogiorno siamo di nuovo al canalino sommitale.


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Siamo stupiti dal fatto che la discesa sembri molto più facile della salita. In genere accade il contrario. Il diedro é poi un divertimento, lo scendo tutto faccia a valle in puro stile da ravanatore all'antica. Alb lo scende faccia a monte. Parte una discussione, lunga tutto il diedro, sul peccato di fare le discese all'indietro ... Alb propone una disputa comparativa fra le teorie di un famoso teologo tedesco e quelle di una famosa soubrette dai boccoli platinati.

Se posso dire, gita splendida. La montagna ha proprio la forma "da montagna". La roccia é bellissima. Le difficoltà sono basse, anche se sconsigliabili per chi é abituato solo ai sentieri. Il panorama dalla vetta é uno dei migliori che io abbia mai visto. Però mi raccomando, non create la folla!


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