Pontebane - appunti di un giorno nelle Alpi Carniche orientali
testo e foto di Giuseppe-Adriano Moro
Il viaggio continua, verso monte. La strada che sale verso il Passo Cason di Lanza è stata allargata e migliorata, ma rimane sempre un percorso che richiede pazienza.
Sfiliamo fra gli stalis (un tipo di "baita" tipico delle zone montane del Friuli) di Cjarbonaries, "le carbonaie" in italiano, una zona dove un tempo la produzione di carbone di legna era l'attività prevalente, a quanto pare. Ormai il carbone di legna viene prodotto in forni industriali ed i carbonai sono scomparsi da molto tempo.
Saliamo fino all'inizio del cjampit (Ita: pascolo fertilizzato) della malga di Riosecco, quindi imbocchiamo la pista che scende al torrente. Mollo l'auto e mi faccio portare su un pick-up: la mia povera vettura ha già dato troppo nella sua breve vita.
Riusec è un altro toponimo particolare. Si riferisce al fatto che i torrenti, salendo sopra la zona dove si trova la malga, sono tutti asciutti. In praticolare uno ha preso il nome di Riusec. E' il carsismo a dettare le regole da qua in poi: l'acqua deve seguire percorsi sotterranei, per lo più sconosciuti, prima di tornare a vedere la luce. Il tratto di Pontebane dove ho individuato l'ultimo punto di censimento è a valle dell'area di risorgenza, quindi perenne.
Lo scorso inverno avevamo introdotto in questo tratto di torrente degli avannotti di trota marmorata, per tentare di compensare la mancanza di risalita degli adulti, bloccati più a valle da un numero impressionante di briglie. Ho voluto tornare per cercare i "nostri" avannotti e verificare se siano cresciuti bene durante l'estate.
Il posto è fantastico: immerso nel bosco misto di abeti e faggi. Il torrente saltella fra le pietre, arrotondate dal lavoro paziente dell'acqua. Gli alberi arrivano fin sulle sponde, i loro rami si protendono sull'acqua, creando spazi di ombra e luce. Me ne vado un po' in esplorazione, mentre gli altri raccolgono pesci, a cercare qualche bella buca per scattare delle foto.
Ci vorrebbe tempo e pazienza, la luce poi è "difficile". Il sole batte su alcune zone, altre sono immerse in un'ombra fittissima, generata dai rami degli abeti. In queste situazioni mi pesa il limite principale della fotografia digitale: la scarsa gamma dinamica del sensore. C'è poco da fare, se con le diapositive un'esposizione media portava a buoni risultati, oggi si rischia ogni volta di trovarsi con un'immagine bruciata a metà e buia per l'altra metà. Certo, si può lavorare a casa, sul computer, su scatti multipli, ma in fin dei conti questa grande evoluzione ci costringe a fare più lavoro di prima ed a imbrogliare di più.
Curioso sotto le pietre, prendo alcuni ciottoli e li volto di scatto, qualche invertebrato fugge precipitosamente. Sono per lo più Efemerotteri della famiglia Heptageniidae, troppo piccoli per riconoscerli ad occhio mentre fuggono, ma sembrano quasi tutti del genere Rithrogena. Tentare una foto è impossibile, dovrei avere un obiettivo macro, montare il polarizzatore per limitare i riflessi e disporre di un flash. Ecco un buon motivo per cui non scatto foto agli animali che ho studiato più di altri: è necessaria troppa attrezzatura, per i miei gusti.
Potrei passare le ore lungo il torrente, camminando sui massi o guadando le piccole rapide, ma il dovere mi chiama, anche qua ci sono pesci da misurare e non voglio farli aspettare: la loro vita è nel torrente, non in una vasca.
La giornata è stata ottima, abbiamo lavorato più del previsto ed è ancora presto. Liberiamo i pesci dopo esserci assicurati che siano in forma e sbaracchiamo l'attrezzatura. La squadra ha finito il suo lavoro, per oggi, io invece devo scavalcare il passo ed andare a Paularo, altra valle, altro torrente, dove mi aspetta un sopralluogo piuttosto interessante, sullo scenario di un'evento di piena fra i più impressionanti che io abbia mai visto.
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